Il mondo del calcio, il Governo e le organizzazioni sanitarie continuano a discutere e ad interrogarsi su quando e su come si potrà arrivare ad un’intesa per far ripartire il mondo del calcio. Almeno quello apicale, dove gli interessi economici rischiano di avere il sopravvento su ogni altra cosa.
Nel dibattito in non c’è unanimità di pareri e dove le vedute sono sempre più contrastanti e dove l’aspetto sanitario resta centrale, c’è anche da tenere in conto un tema giuridico che merita la giusta attenzione e che ricadrebbe, giocoforza, sui club.
Vale a dire. Ci si è chiesti cosa succederebbe se, dopo la ripresa, un calciatore dovesse contrarre il virus con conseguenze assai negative sulla propria salute?
Naturalmente il primo a subire i danni sarebbe il giocatore che andrebbe a rischiare la vita, ma le società, in quanto datori di lavoro, possono essere chiamate a rispondere dei danni subiti dall’atleta. Isomma, si potrebbe richiamare l’art. 42 del Decreto Cura Italia che ha incluso l’infezione da Covid-19 quale causa di infortunio sul lavoro.
E, quindi, i club potrebbero essere chiamati a rispondere dei danni non coperti da Inail e, nei cai più gravi, i dirigenti potrebbero essere considerati responsabili dal punto di vista penale, in quanto inadempienti.
Toccherebbe ai vertici dei club dimostrare il contrario, cioè di aver applicato alla lettera il protocollo, na non sarebbe operazione semplicissima.
Insomma, presidenti e dirigenti sono consapevoli che correrebbero anche questo rischio?
O di fronte a valutazioni differenti la “chiamata alle armi” diventa un grido al quale non ci si può dissociare?