Quella del centravanti catanese Pietro Anastasi, celebre con il vezzeggiativo Pietruzzu, è in assoluto una delle storie più gloriose che la Sicilia abbia donato alle memorie calcistiche. E proprio da lui iniziamo la rubrica sui più grandi calciatori siciliani della storia realizzata in collaborazione con la Sicilia Football Association – Naziunali Siciliana.
Giovanissimo protagonista della vittoria dell’Italia all’Europeo 1968 (l’unico vinto dagli Azzurri prima del successo del 2021), trascinatore della Juventus tre volte scudettata nel primo lustro degli anni settanta, Anastasi assurse soprattutto a simbolo di riscatto sociale per le tante migliaia di emigrati siciliani e meridionali partiti per il ricco triangolo industriale del Settentrione in cerca di lavoro e fortuna. Anche per questo la favola sportiva di Pietruzzu – principale interprete della Juventus a trazione “sudista” che dominò il calcio italiano a cavallo degli anni settanta – travalica i confini del rettangolo verde fino ad assumere le fattezze di una leggenda popolare.
Nato a Catania il 7 aprile 1948 da un’umile famiglia operaia, Pietro Anastasi s’innamorò del pallone facendo da raccattapalle al Cibali. Proprio presso lo stadio etneo, quando non aveva ancora compiuto tredici anni, Pietruzzu avrà il suo primo incontro ravvicinato con il grande calcio. Era il 26 febbraio 1961 e a Catania arrivava la Juventus. Questa l’occasione propizia per ottenere una foto con il suo idolo, il centravanti gallese John Charles. Un cimelio che Pietruzzu conserverà nel suo portafoglio per tutta la vita. Quel giorno al Cibali, senza ancora saperlo ma forse sognandolo, Anastasi ebbe già davanti a sé il suo futuro: la Juventus e il ruolo di centravanti.
Nello stesso 1961 Pietruzzu intraprenderà la sua carriera calcistica vera e propria, dopo l’esperienza nella squadra dell’oratorio San Filippo Neri. Anastasi militerà nella compagine dilettantistica del Trinacria per tre anni, fino al 1964, quando verrà notato dalla Massiminiana, la società fondata pochi anni prima dalla famiglia del futuro “presidentissimo” del Catania Angelo Massimino. Nella stagione 1965-66, con i suoi 18 gol in 31 partite, ‘u turcu (così Pietruzzu era soprannominato dai compagni per via della sua abbronzatura estiva) darà un contributo determinante alla storica promozione della Massiminiana nel calcio professionistico.
Notato quasi casualmente dal direttore sportivo del Varese Alfredo Casati durante una partita al Cibali, Anastasi era ormai pronto per il salto di categoria. Fu così che a soli diciotto anni l’attaccante etneo salutò la sua Sicilia per approdare in Serie B, al Varese dell’ex capitano interista Armando Picchi. Ad attenderlo – come tanti emigrati siciliani di quegli anni – un’altra terra, un altro clima, altra gente, pregiudizi e sfottò, ma – a differenza di chi partiva per fare l’operaio in fabbrica – anche la concreta prospettiva di un futuro nel calcio dei campioni.
Contribuendo alla promozione in Serie A della squadra lombarda con 6 gol in 37 partite, il 24 settembre 1967, contro la Fiorentina, Pietruzzu fece il suo esordio nella massima serie trovando subito la via della rete. Aveva solo diciannove anni. In quella prima memorabile stagione in Serie A il catanese, per ironia della sorte, toccherà il punto più alto proprio contro la Juventus, a cui infliggerà una micidiale tripletta.
La splendida annata al Varese, coronata da 11 gol, lanciò Anastasi verso il grande calcio. Acquistato dalla “sua” Juventus per 650 milioni di lire (cifra record che lo renderà il calciatore più costoso al mondo negli anni sessanta), Pietruzzu esordirà in bianconero con una doppietta rifilata all’Atalanta. La sua storia, le sue fattezze così tipicamente “terrone”, la sua generosità sul campo da gioco, trasformeranno ben presto il bomber catanese nell’autentico idolo delle masse di emigrati a Torino e, più in generale, nell’Italia settentrionale. A tal proposito lo scrittore Maurizio Crosetti ha così brillantemente descritto il fenomeno sociale Anastasi:
«Erano piene di nebbia, a quel tempo, le mattine d’inverno a Torino, ed era dura rimettersi a battere la lastra nel reparto presse della Fiat. Ma c’erano giorni diversi, c’erano i magici lunedì in cui l’operaio “terùn”, naturalmente juventino, poteva dimenticare ogni gelo nella strada e nel cuore, ogni amarezza, ogni sporca fatica della vita grama. Perché la domenica la Goeba aveva vinto. E al centro dell’attacco di quella squadra c’era lui, Pietro Anastasi da Catania, Pietruzzu, Pietro ‘u turcu».
In otto stagioni in bianconero, dal 1968 al 1976, Anastasi segnerà 132 reti (tra Serie A, Coppa Italia e competizioni europee), laureandosi tre volte campione d’Italia (1971-72, 1972-73, 1974-1975) e guadagnandosi il soprannome di “Pelé bianco”. Di quella Juventus “sudista” resa grande anche dal palermitano Beppe Furino, dagli “oriundi” siciliani Claudio Gentile e Gaetano Scirea, nonché dal salentino Franco Causio e dal sardo Antonello Cuccureddu, Pietruzzu fu il leader riconosciuto, nonché il capitano dal 1974 al 1976. Significativamente, al momento dell’addio ai bianconeri, la fascia di capitano passerà proprio da Anastasi a Furino, da Catania a Palermo.
Entrato in rotta di collisione con il tecnico Carlo Parola, Anastasi lasciò la Juventus al termine della stagione 1975-76. Fu ceduto proprio all’Inter, arcirivale dei bianconeri. Le due stagioni in nerazzurro, con un totale di soli 13 gol, tuttavia certificarono l’inizio della precoce parabola discendente del fuoriclasse etneo. Passato alla “provinciale” Ascoli nel 1978, Pietruzzu contribuì al miglior piazzamento in Serie A della squadra marchigiana, ovvero il quarto posto conseguito nella stagione 1979-80. Dopo questa finale parentesi in Italia, nel 1981-82 arriverà l’ultima esperienza di Anastasi sul campo, con il Lugano, in Svizzera. In totale, nel corso della sua carriera in Serie A, il catanese collezionò 338 presenze e 105 gol, a cui aggiunse il titolo di capocannoniere della Coppa delle Fiere nel 1971 e della Coppa Italia nel 1975.
Epico anche il suo esordio con la Nazionale maggiore italiana, a soli vent’anni, da titolare nella finale del Campionato Europeo 1968 a Roma contro la Jugoslavia: «eravamo nello spogliatoio, mi chiama Valcareggi e mi fa: “Picciotto, tocca a te!“». Finita in pareggio, la partita fu ripetuta due giorni dopo. Per Anastasi, confermato tra i titolari, arrivò un gol speciale, quello del definitivo 2-0 che consegnò il titolo europeo agli Azzurri. Quella sua mezza rovesciata dal limite dell’area è stata inclusa dalla UEFA nella lista dei sessanta gol più belli della storia del calcio europeo.
Saltati i Mondiali del 1970 a causa di un bizzarro infortunio ai testicoli, la carriera azzurra di Anastasi si chiuderà dopo la negativa spedizione italiana ai Mondiali tedeschi del 1974. Il centravanti etneo, dal 1968 al 1974, totalizzerà 25 presenze e 8 reti in maglia azzurra.
Dopo la sua meravigliosa carriera agonistica, ormai di casa a Varese – città nella quale ancora giovanissimo aveva trovato l’amore della vita, Anna – il fuoriclasse catanese si è spento il 17 gennaio 2020, a settantuno anni, flagellato dalla SLA. Tuttavia il suo ricordo come uno dei più grandi sportivi siciliani di sempre resterà eternamente vivo.
In anni recenti un altro Anastasi da Catania, Valerio, parente del campione, ha calcato per una stagione i campi di Serie A, con la maglia del Chievo Verona.